Come abbiamo documentato nei giorni scorsi, Mauro Moretti, ex amministratore delegato di FS e RFI, è stato condannato a 5 anni nel processo di appello bis per la strage ferroviaria di Viareggio di 13 anni fa.

Eppure, nonostante la soddisfazione dei parenti delle vittime, una buona parte della stampa italiana non sembra molto convinta di questa sentenza, dimostrando la sua contrarietà con parole anche piuttosto forti.

A partire con qualche dubbio è stato il Riformista che già il 1 luglio concludeva l'articolo sulla sentenza con un laconico "la storia racconta la legittima pretesa di giustizia delle vittime ma anche un processo mediatico parallelo feroce soprattutto nei confronti di Moretti, colpevole forse solo di un delitto d’autore, quello di far parte dei cosiddetti poteri forti".

Nei giorni successivi le voci che vogliono un accanimento eccessivo nei confronti dell'ex AD sono aumentate poi notevolmente. 

Ha iniziato l'Huffington Post secondo il quale "La condanna a Mauro Moretti" sarebbe "una vendetta riparatrice del dolore subito".

Secondo il giornale "il processo fin dall’inizio ha avuto le caratteristiche dell’autodafé, della vendetta riparatrice del dolore subito", poiché si condanna "una persona che non era neppure presente ai fatti (la responsabilità penale è sempre personale) e che non aveva, anche se un amministratore delegato avesse il compito di controllare direttamente la linea ferroviaria, alcuna possibilità di rimediare al logoramento di un asse di un vagone - peraltro proveniente dall’estero – deragliato dai binari, appena uscito dalla stazione di Viareggio".

Sempre secondo l'Huff Post "non si può non notare la maggiore indulgenza della Corte di Firenze nei confronti di imputati coinvolti in maniera più diretta nelle negligenze che diedero origine a quella tragedia. È forte il dubbio che sull’orientamento delle Corti pesi ben più del comprensibile, la pressione delle vittime sopravvissute.

Non si pone, però, riparo ad una strage degli innocenti attraverso la decimazione della linea di comando delle Ferrovie dello Stato. Ognuno di coloro che ha sofferto e soffre in conseguenza di quella tragedia, scevro da propositi di vendetta, avrebbe il dovere di chiedersi se la responsabilità oggettiva di amministratori arriva al punto di essere accusati di eventi drammatici che avvengono in una notte d’estate a chilometri di distanza dal letto su cui stavano dormendo.

È umano comprendere il desiderio che qualcuno paghi per tutti e che si tratti di una persona importante, il cui comportamento nel corso della vicenda abbia messo in evidenza i propri limiti caratteriali al punto che lo stesso Mauro Moretti ha sentito l’esigenza di chiedere scusa.

Ma non si condanna a cinque anni una persona perché la si crede tanto arrogante da non consentirle neppure la possibilità di chiedere scusa. Ottenere comunque una sentenza di colpevolezza per imputati palesemente non responsabili significherebbe uccidere di nuovo quelle povere vittime sorprese di notte dall’esplosione e dalle fiamme nella stazione di Viareggio".

Caustico anche il Corriere della Sera già dal titolo: "Strage di Viareggio: la giustizia o legge del taglione".

Secondo il quotidiano, Moretti "Ha però la sfortuna di essere alla testa delle ferrovie quando nel giugno 2009 alla stazione di Viareggio si rompe l’asse di un carrello di un vagone cisterna carico di gas liquido, il convoglio deraglia e nell’esplosione che segue 32 persone muoiono e molte altre rimangono ferite gravemente.
Il vagone appartiene in realtà a una ditta tedesca, la sua manutenzione non è competenza delle ferrovie italiane ma non importa: automaticamente a Moretti viene affibbiata la «responsabilità oggettiva» del disastro e una pesantissima condanna.

Ma che cos’è la «responsabilità oggettiva»? Come si concilia con il dettato costituzionale che la responsabilità penale è personale? Che cosa in concreto avrebbe dovuto/potuto fare l’ingegner Moretti tale da evitare il disastro e colpevolmente non ha fatto? Quale nesso di causalità è individuabile – come la giurisprudenza impone - tra la sua condotta e l’evento? Finora nessun giudice lo ha spiegato in un modo che pur legalmente ineccepibile fosse anche logicamente convincente: forse troppo attento alla rovente richiesta di giustizia che si leva dai parenti delle vittime. Una richiesta sacrosanta ma a una condizione: che sia richiesta di giustizia e non già la richiesta di applicare una barbarica legge del taglione".

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