Sta facendo molto discutere sul web il curioso caso del Capotreno sessantenne, in servizio a Venezia, particolarmente ligio al dovere.
La storia raccontata dal Corriere del Veneto sembra uscita da una vecchia commedia all’italiana.
Il capotreno ha il compito di controllare che i passeggeri dei Frecciarossa dispongano di regolare biglietto. A quanto pare, tuttavia, avrebbe preso particolarmente a cuore il suo compito, staccando migliaia di contravvenzioni in appena un paio d’anni e diventando una sorta di incubo dei pendolari.
A sostenerlo non sono i passeggeri ma la sentenza del tribunale di Venezia e quella della Cassazione. I giudici lo descrivono come un uomo di «zelo non comune, inflessibile ed estremamente puntiglioso nell’elevare contravvenzioni», un controllore dotato di una «intransigenza zelante».
Ovviamente nel mezzo di tutte queste sanzioni ci sarebbe scappato l'errore. Le verifiche condotte da Trenitalia avrebbero portato a scoprire che, nel biennio 2014-2016, il capotreno avrebbe commesso 175 infrazioni nell’emissione dei titoli di viaggio destinati ad altrettanti passeggeri che aveva trovato a viaggiare in maniera in parte o del tutto irregolare.
Insomma, secondo quanto riportato dal Corriere del Veneto, alcuni passeggeri si sarebbero ritrovati a pagare multe più salate del previsto, altri a versare molto meno di quanto avrebbero dovuto.
Per Trenitalia questo sarebbe inaccettabile. Quei provvedimenti sbagliati, non solo avrebbero causato «un incalcolabile danno anche d’immagine alla Società, come comprovato dalle proteste formali» dei pendolari, ma soprattutto avrebbero comportato 9.800 euro di mancati introiti perché - questa la tesi dell’accusa - le 175 infrazioni dimostrerebbero che «il capotreno ha ripetutamente e deliberatamente applicato tariffe o sanzioni a proprio piacimento in spregio dei regolamenti ferroviari».
Così facendo il ferroviere avrebbe anche preso 415 euro di «premi» previsti per i controllori che emettono i titoli di viaggio. Provvigioni che, visti gli errori commessi, non gli spettavano.
Da qui la decisione di Trenitalia nel 2017, ossia il licenziamento immediato per giusta causa. Naturalmente a questo atto è seguita la causa all’azienda di fronte al giudice del lavoro di Venezia da parte del capotreno, con richiesta di reintegro.
L'uomo si è giustificato dicendo che gli errori commessi rappresentano appena il 3,5% dei provvedimenti che aveva assunto.
In tutti i gradi di giudizio, Trenitalia ha ribadito la sua posizione: a prescindere che il capotreno avesse sbagliato volontariamente o meno, si era ormai incrinato il rapporto di fiducia.
Ma i tribunali hanno dato ragione al capotreno e nella sentenza con la quale la Cassazione ha posto fine alla vicenda si legge che il dipendente sarà pure «inflessibile ed estremamente puntiglioso» ma non lo fa certo «con finalità esclusive di lucro né in mala fede contro l’azienda».
Anzi, gli «errori nello svolgimento dell’attività di controllo dei biglietti» sono da considerarsi proprio «un effetto indiretto dell’eccesso di zelo» del capotreno, che quindi si è visto annullare il licenziamento.
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