"Che hai fatto? Non doveva partire! L’altro non è arrivato ancora. Dio mio si scontreranno!"
Parole che pesano come macigni nel racconto di chi era protagonista quella fredda sera del 27 gennaio 1992.
È un pomeriggio come tanti altri, tutti uguali, un po' come le composizioni di ALe 801/940 arancio e giallo che effettuano i treni sulle linee dei castelli romani.
Sono le 17.40 quando il capostazione dell'impianto di Ciampino commette l'errore più banale, dà il via libera a un treno quando l'altro che viaggia sulla stessa linea a binario unico ancora non è arrivato. Molto banalmente, lo confonde con un convoglio che deve viaggiare su un'altra tratta visto che da Ciampino se ne diramano tre che usano quei mezzi.
"Quando ha visto quel treno allontanarsi sul binario della stazione di Ciampino, il mio collega, l’altro capostazione, è arrivato di corsa dal bar, urlando, e mi ha detto così. Allora ho capito che avevo fatto un errore tremendo. Sudavo freddo dalla tensione. Siamo corsi al telefono. Dovevamo fermare quel maledetto convoglio o l’altro. Abbiamo chiamato la stazione di Cecchina per bloccarlo, ma era già passato. Poi un casellante, ma non c’era, il numero suonava a vuoto… Ero terrorizzato. Alla fine ha risposto. Era passato anche lì. Ed è arrivata la notizia dello scontro, i morti, i feriti… Dio mio“.
Il capostazione, ferroviere da trent’anni da poco promosso, suda freddo, rimane immobilizzato e, consapevole di aver provocato un disastro non più rimediabile, si dà alla fuga, colto da un istinto difficile da contenere. Intanto lo scontro in velocità e l’inferno. Quel treno, poco prima inconsapevolmente partito da Ciampino con tanta sicurezza, non avrebbe terminato la sua corsa a Velletri e avrebbe impattato, presso Casabianca, contro il convoglio proveniente dal senso opposto che aveva appena lasciato la stazione di Santa Maria della Mole.
Così il 27 gennaio 1992 corrono le ambulanze per salvare le vite disperse e abbandonate sui binari, il numero dei feriti sale sempre più, rimangono incerte le morti. Intervengono i Vigili del Fuoco a soccorrere le persone rimaste intrappolate nel cruento scontro frontale, estraggono il corpo esanime di uno dei macchinisti illuminati solo dalle fotoelettriche perché il sole ancora è timido a gettare luce su un massacro.
Il capostazione di Ciampino vaga per la campagna, contatta i suoi più cari amici e dopo un’ultima telefonata alla famiglia si costituisce al capitano dell’Arma di Castel Gandolfo. Centonovantadue feriti, sei morti e l’accusa di disastro ferroviario aggravato colposo e di omicidio colposo plurimo. Un unico istante, una distrazione minima ma essenziale, ha segnato e sconvolto la vita di sei uomini, sette con il capostazione, e delle persone che li amavano.