"Per andare a casa mezz’ora prima o per accelerare il tempo di lavorazione".
Sarebbero queste le motivazioni addotte da altri operai in procinto di essere ascoltati dalla Procura di Ivrea per il trovarsi in mezzo ai binari quando ancora i treni devono passare.
"Nessuno di noi si è mai rifiutato di farlo, ma è arrivato il momento di dire basta".
Sono due, in particolar modo, i ragazzi ventenni che rilasciano dichiarazioni, anche al TG1, ma praticamente su tutti i quotidiani di oggi.
"Quattro mesi fa ero sul binario a Chivasso - dice uno dei due - è passato un treno. Se non fosse stato per un mio collega che ci tirava dalla maglietta non saremmo qui".
E ancora sulla presunta prassi dei lavori in anticipo.
"Ci facevano salire prima del permesso sui binari per fare le preparazioni. Così aumentavamo il lavoro. Quella che è successa è una strage inaccettabile. Se vai al lavoro devi essere sicuro".
Non tutti, però, sarebbero rimasti zitti: "Qualche volta dicevo che non intendevo lavorare in quelle condizioni, che non c’era sicurezza, ma alla fine mi sono guadagnato il nomignolo di “peperoncino”. Finivo per discutere col capocantiere. Insomma, davano la colpa a me che volevo rispettare le regole".
Situazioni e parole tutte da verificare, va detto, come quelle che seguono.
I tecnici "ci dicevano di salire prima di avere l’interruzione, molti lo facevano. E salivamo tutti (sulla massicciata, ndr) perché ognuno voleva portare a casa lo stipendio. Chi ha figli, debiti, mutui, ma anche soltanto sogni come noi, lo faceva per questo".
La chiusura è lapidaria: "Avremmo potuto morire noi, sono morti loro trattati come numeri, mandati a lavorare sulle rotaie come fossero ad un parco giochi. Giustizia, solo questo. Tutti quelli che hanno sbagliato devono pagare".
E alla domanda del giornalista del TG1 se l'intervistato fosse consapevole delle possibili ripercussioni che potrebbe subire sul lavoro la replica è secca.
"A dicembre mi scade il contratto. Non è la mia strada, l’ho capito dopo questa tragedia".
Difficile dargli torto.