Tra i sindacati si diffonde il timore che le storiche officine che riparano i treni a Bologna e a Rimini possano “sparire del tutto” lasciando senza lavoro quasi 300 persone in Emilia-Romagna.
È questa la posta in gioco nella vertenza delle ex OGR, le Officine Grandi Riparazioni oggi ribattezzate OMC Trenitalia. Eppure le prospettive erano differenti: a gennaio dell'anno scorso era stato rinnovato un accordo del 2018 che prevedeva per Bologna l'assegnazione di 165mila ore di lavoro all'anno, cioè quelle che avrebbero garantito l'occupazione di 110 operai.
“Invece a inizio 2020 erano 93 e a gennaio 2021 erano 85...”, evidenzia Francesco Donini, della Filt-Cgil. A Rimini un accordo del 2019 definiva investimenti infrastrutturali per modificare l'officina, cioè per aumentare i binari ed elettrificare la linea, e quindi per portare dalla stazione più treni in manutenzione; dunque, per assicurare altre lavorazioni. Tanto che nella sede romagnola i 200 addetti (250 con gli indiretti) hanno iniziato a lavorare su due turni. Ma degli investimenti nessuna traccia, segnala ancora la Filt.
“Nell'ultima riunione al tavolo nazionale con Trenitalia manutenzione, Bologna e Rimini sono sparite dalle slide che elencano i programmi degli investimenti previsti e da effettuare”, spiega Donini parlando alla 'Dire'. “Prima del Covid c'erano accordi locali e nazionali, dopo l'anno del Covid Bologna e Rimini non ci sono più. Perché? Trenitalia ci dice che tutto quello che è stato definito prima non è più definibile né definito. Lo comprendiamo, ma gli accordi non possono essere superati così. Se così fosse, quei due impianti rischiano di sparire; rischiano di sparire non solo i lavoratori, ma un lavoro di eccellenza”, avverte Donini.
Nell'officina di Bologna si riparano tutte quelle competenti dei treni tranne porte e ruote, e tra diretti e indiretti operano 125 lavoratori. A Rimini si rimettono in sesto vagoni e motrici. C'erano dunque accordi per dare un futuro a tutto questo, ma “degli investimenti non c'è più traccia. E qua ora non vorremmo che si avviasse una situazione tipo 'Breda-menarinibus'”, la storica azienda di autobus che sta uscendo solo ora da una lunga stagione di allarmi e paure di smantellamento. “Ecco vorremmo evitare a situazioni lacrime e sangue tipo quella”, specifica Donini.
A Rimini le altre organizzazioni sindacali a dicembre hanno firmato un nuovo accordo che la Cgil non ha condiviso “perché dice che gli investimenti previsti sono in fase di valutazione. Ma di quegli investimenti non c'è più traccia”. Il timore è che questa 'inversione di rotta' precluda ad “una esternalizzazione delle attività o ad una loro assegnazione ad altri territori... sperperando un patrimonio che abbiamo qui”, avverte ancora Donini.
Pe questo la Filt-Cgil ha aperto lo stato di agitazione e indetto un primo sciopero venerdì scorso che doveva essere di otto ore, ma è stato ridotto a una. “Per ora non abbiamo ricevuto segnali dall'azienda sulla riapertura della vertenza, e se continuerà così il prossimo sarà di 24 ore”, guarda avanti il sindacalista della Filt-Cgil dell'Emilia-Romagna: “Tutto può essere ridefinito dopo il Covid, ma per noi bisogna ripartire da quei progetti che, anche se da modificare, possono garantire lavoro e attività a questi stabilimenti. Per noi questa non è una mobilitazione solo di bandiera”, conclude.