“La decisione sullo smart working rischia di dare il colpo di grazia a un Pubblica Amministrazione già largamente inefficiente e di finire per affossare chi, come le imprese private, ha retto quasi esclusivamente sulle proprie spalle la fase del lockdown e la lentissima ripresa.
La mancata digitalizzazione, l’impossibile riqualificazione in tempi brevi di dipendenti abituati all’ufficio, la mancanza di qualsiasi controllo sulla produttività di chi è a casa, rischia di far diventare quello che traduciamo in lavoro agile in non lavoro”.
Anceferr, l’Associazione dei Costruttori Ferroviari che associa le maggiori imprese qualificate da Rete Ferroviaria Italiana per l’esecuzione delle opere civili alla sede ferroviaria e alle gallerie su linee in esercizio prende una dura posizione: “Abbiamo garantito i lavori necessari mentre il Paese era chiuso – spiega Vito Miceli, vicepresidente di Anceferr – mentre in moltissimi casi la PA non è riuscita a farlo.
Secondo i dati diffusi dal Forum PA, il 40% dei dipendenti pubblici, lavorando da casa, non ha avuto accesso ai documenti, il 68% non ha ricevuto alcuna formazione e il 30% non ha concordato alcun piano di lavoro. Gare bloccate, permessi in ritardo… le percentuali delle concessioni edilizie, mai arrivate, sono raccapriccianti!”.
“Consci della necessità di mettere al primo posto la salute di tutte e tutti – aggiunge Miceli – non crediamo che una democrazia possa tollerare che ci siano lavoratori di serie A e altri di serie B. Non pensiamo si possa permettere che ci sia chi non lavorando prenda lo stipendio per intero, mentre intere famiglie sono senza reddito o vivono di cassa integrazione.
Per motivi diversi anche il sindacato è contrario a una decisione sullo smart working che non li vede interlocutori. Noi, come imprese, come imprese sane, vogliamo essere interlocutori dei decisori politici. L’unità e la forza del Paese si misurano in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo, ma così non va”.