Ci siamo di nuovo. L'ennesima crociata contro il trasporto merci ferroviario è partita nell'esatto momento in cui tutti, però, siamo ben contenti di sfruttarne i benefici.

Stando alle cronache locali, "nella giornata di ieri, il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo ha presentato un’interrogazione al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli per chiedere maggiori dettagli e chiarimenti sulla questione del passaggio della TAV (i treni ad alta velocità) merci e del tunnel ferroviario monzese".

Tralasciando il fatto che da qualche mese la parola TAV venga utilizzata sempre e comunque e spessissimo a sproposito, i residenti tornano a lamentarsi per "il delicato passaggio di numerosi e giganteschi treni merci in mezzo a palazzine quasi a ridosso del centro storico. Nella fattispecie, 220-250 treni al giorno per una lunghezza fino agli 800 metri".

Chi conosce la ferrovia sa che non c'è nulla di diverso da quello che accade in tutto il resto del mondo, dove da sempre i treni viaggiano dentro le città e trasportano anche merci che poi finiscono anche sulle nostre tavole, nei serbatoi delle nostre auto o nelle nostre case.

"Da qui  la richiesta di Romeo al ministro Toninelli di sottoporre la galleria a verifiche di sicurezza per evitare incidenti, di promuovere interventi di insonorizzazione e valutare l’ipotesi di dirottare parte dei treni su percorsi alternativi più idonei". Passino le prime due richieste che ci sembrano più che legittime, ma chi propone di dirottare alcuni treni altrove non sa probabilmente di cosa sta parlando. 

Per quanto il nostro paese abbia una buona rete ferroviaria, in alcune circostanze i passaggi sono obbligati e in ogni caso deviare un treno merci, qualora sia possibile, significherebbe semplicemente scaricare il problema su qualcun altro, come se quest'ultimo non avesse gli stessi diritti di chi chiede lo spostamento del convoglio.

"Le preoccupazioni sottoposte alle Istituzioni sono quelle ormai note: rumori assordanti giorno e notte, vibrazioni dei complessi residenziali, paura per la mole dei treni e per i materiali trasportati, tanto che più volte è stato presentato dai residenti l’incubo del disastro ferroviario avvenuto a Viareggio nel 2009".

E qui torniamo all'assunto iniziale. Da che mondo è mondo le merci viaggiano via ferrovia, anche quelle pericolose. Il rischio c'è, c'è sempre stato e ci sarà sempre ma in qualche modo fa parte del gioco. Che si debba fare di tutto per mitigarlo è chiaro ed è lecito chiederlo ma pensare di azzerarlo è vivere nel paese delle Meraviglie di Alice.

Vediamo di fare un riassunto per punti che spieghi bene la situazione:

  • tutti noi vorremmo che le merci viaggiassero lontano dai centri abitati ma che i treni passeggeri ci portassero vicino casa, come se i binari fossero diversi;
  • tutti noi vorremmo la comodità del treno nel centro abitato per arrivare prima a casa dal lavoro ma non vorremmo sentirne i rumori;
  • tutti noi vorremmo che i costi dei prodotti fossero bassi ma vorremmo che il giro per consegnarceli fosse il più lungo possibile per non passare vicino al nostro giardino.

Per chi non lo sapesse, questa sindrome ha un nome: NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile") col quale si indica un atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico o non, che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come ad esempio grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche o nel nostro caso transito di treni merci.

L'atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull'ambiente locale.

Per chi non ci fosse arrivato da solo se la sindrome NIMBY colpisse ogni abitante della Terra diventerebbe di fatto impossibile prendere quei provvedimenti indispensabili a ogni comunità che risulterebbero fastidiosi per la relativa zona coinvolta.

Si arriverebbe così al paradosso che pur riconoscendo un servizio o un impianto come essenziale, o comunque valido, non si riuscirebbe ugualmente a erigerlo.

E allora ben venga la sicurezza, ben vengano i controlli, ben vengano tutte quelle misure tendenti a ridurre ogni rischio e ben vengano le proteste se qualcosa viene fatto male. Ma si inizi a pensare che per il bene della comunità ognuno di noi una pur minima percentuale di rischio o di fastidio deve pur sempre prendersela. Oppure si prenda in considerazione di andare a vivere su Marte.

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