E’ giunta a conclusione l’inchiesta condotta dagli ispettori del ministero delle Infrastrutture sull’incidente del 2017 all’ingresso della stazione di Galugnano, che non provocò vittime né feriti gravi ma solo tanto spavento.

Stando alle conclusioni dell’inchiesta, quel 13 giugno, c’erano cinque modi diversi per fermare il treno che all’ingresso della stazione di Galugnano, si era avviato da solo, in discesa.

Il macchinista però non intervenne perché era giù dall’automotrice, di cui aveva azionato - sbagliando - le «funicelle» per scaricare l’impianto frenante, finendo così per mettere in movimento il mezzo, e mandandolo a sbattere a 28 km l’ora contro un altro treno. L’inchiesta ha quindi evidenziato che il ferroviere, non era abilitato a condurre l’ALn 668 di Trenitalia, ma soltanto il modello simile utilizzato da FSE che differisce dalla prima proprio per il funzionamento dell’impianto frenante.

La responsabilità materiale ricade quindi sul macchinista, ma la colpa, dice il rapporto della Digifema, è soprattutto di FSE, che noleggiò alcune automotrici da Trenitalia senza preoccuparsi di fare la necessaria formazione ai suoi dipendenti: “In esito alle audizioni effettuate con il personale coinvolto nell’incidente - scrivono gli ispettori -, emergerebbe che non erano regolarmente effettuate attività di controllo e vigilanza sull’operato del personale aziendale, né di aggiornamento professionale”.

Un’accusa gravissima, alla quale sono arrivate anche le indagini parallele condotte dalla Procura di Lecce che ha iscritto nel registro degli indagati anche i vertici dell’epoca di FSE.

L’articolo integrale su la Gazzetta del Mezzogiorno.it.

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